Calcutta in serie A

Giorgia Olivieri
4 min readJan 24, 2019
Foto fatta ieri sera con il mio telefono, uno dei tanti sollevati come moderni accendini

Calcutta, ma che gli fai tu alla gente? Comodamente appostata sotto il palco, ieri sera mentre lo guardavo cantare non facevo altro che chiedermi questo. Non è snobismo il mio, io ascolto Calcutta dalla mattina alla sera. Lo cerco su Spotify con la stessa attitudine con cui più di vent’anni fa avrei inserito la cassettina nello stereo. E canto, canto a squarciagola mentre cucino o faccio la doccia e mi sento bene. Sì, Calcutta mi fa stare bene e i suoi testi scocomerati mi fanno venire voglia di smontarli e vivisezionarli, di fare l’analisi logica e di andare a caccia di figure retoriche come se fosse una poesia di Catullo o di un lirico greco. Ok, questa è la mia esperienza.
Ma gli altri 13mila che hanno partecipato a quella liturgia collettiva all’Unipol Arena sfidando la neve se lo vivono allo stesso modo? A giudicare dall’entusiasmo generale direi di sì. Ero circondata di sorrisi (probabilmente anche di plurilaureati che, guarda un po’, possono ridere e essere preparati allo stesso modo) e quella stessa pace canterina si poteva vedere dalle telecamere che catturavano volti durante il concerto nonché sui vari social network dove in questi giorni di tour in giro per l’Italia molti dei miei contatti hanno condiviso quei momenti di non scontata felicità. Con tutto il rispetto per Edoardo D’Erme, non abbiamo di fronte a noi un figone o un piacione alla Tommaso Paradiso. La voce è bella ma ti stupisci sempre un po’ se ce la fa a cantare. È poco comunicativo ma quando parla trafigge con poche parole (“C’è chi non sa fare i discorsi, io li so fare ma non ne ho voglia. Però qualcosa per voi lo provo” ha detto ieri sera). Canta di sentimenti proponendo spericolate alternative alla rima cuore/amore, versi che ne fanno un crepuscolare 2.0 dove si esprimono passioni travolgenti citando però “buone cose di pessimo gusto”.

Calcutta affida a Instagram l’emozione di cantare nella città che lo ha adottato

Calcutta piace da matti ai bambini. Ho un video di mia nipote, bambina piuttosto riservata, che si lascia andare in una splendida performance cantando “sento il cuore a mille”. Va bene che la vedo poco ma io così sfrenata non l’avevo vista mai. E io non c’entro nulla, deve aver fatto tutto da sola, forse il DNA non mente anche se a onor del vero mi chiama zia mutanda (rideva quando ha sentito quella parola su Orgasmo) e io la rincorro reclamando baci dicendole “fatti pungicare tutta” citando Kiwi. Io se Calcutta piace agli adolescenti trappisti non lo so ma so bene che lui tira fuori l’adolescente che è in noi. Quel luogo che immaginavo essere pieno di ragazzini era invece pieno di vecchietti come me (e oltre). Siamo andati in tilt quando non abbiamo trovato i biglietti, ce li siamo scambiati come gli antichi pass delle discoteche, abbiamo ripassato i pezzi e ci siamo fatti carini per il concerto. Ieri con delle amiche ci siamo mandate messaggi per confrontarci su come vestirci e per condividere l’emozione dell’attesa. Quindi non sono matta da sola, sono matta in compagnia. Non sono l’unica forse che non ha mai superato la propria adolescenza o forse è Calcutta che ci strega e ci rincoglionisce a botte di migliaia. Se ci avessero detto venti/trent’anni fa che a quarant’anni passati avremmo gridato contenti “Lo sai che la tachipirina 500 se ne prendi due diventa mille” o “Ue deficienteeeee” con tutto il fiato che avevamo in corpo oppure che avremmo aspettato con ansia il momento in cui la messa avrebbe previsto il passo “ho fatto una svastica in centro a Bologna ma era solo per litigare”, noi come avremmo reagito?

Ho fatto il video perché l’audio di un bel Ue deficiente può sempre servire

In fondo sono tempi strani e Calcutta, mi sembra, è decisamente il minore dei mali. Anzi. Alla fine la serata di ieri è stata un regalo, un balsamo per ogni nostra miseria personale, due ore catartiche per dimenticare le bollette, il lavoro e le piccole o grandi insoddisfazioni. Eravamo migliaia ma pareva di essere a una festa di amici organizzata da quel ragazzo sul palco a cui ogni tanto sembra essere sfuggita un po’ la mano. Ma lui è bravo a fare il gran cerimoniere, magari ha l’ansia ma non ce lo fa notare troppo, oramai si è preso questa responsabilità. Anche se sono sue, Calcutta canta le sue canzoni come potremmo farlo noi. Si dà il tempo con le mani e quel microfono potrebbe essere la scopa con cui ramazziamo la stanza. Lo ascolti e dici se lo fa lui posso farlo anch’io. E allora una vocina da dentro ti dice “e allora perché non lo fai”? In una serata come ieri si respirava l’aria del tutto possibile, non come se fossimo di fronte a un miracolo ma alla festa di uno di noi che ce l’ha fatta. Potremmo interrogarci sul perché ma la risposta a me sembra piuttosto semplice: ci ha provato. E gli è andata fatta bene. In fondo il Frosinone è o non è in serie A?

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Giorgia Olivieri

Giornalista, scrive quello che vede come se fosse al bancone del bar. Marchigiana, vive a Bologna da troppo tempo.