La Lanterna Azzurra, riflessioni sparse due anni dopo
Due anni fa più o meno a quest’ora mi svegliavo. Di fianco a me Guido, insolitamente ritto sul cuscino. La notte, saranno state più o meno le 4, l’avevo sentito muoversi verso il letto con la grazia di un elefante e ricordo di avergli grugnito qualcosa. Sarà stato forse per quello che decise di non dirmi nulla di come aveva passato le sue ultime ore a partire dalla mezzanotte circa. In qualità di amministratore di Sei di Senigallia se aveva smistato (il gruppo richiede l’approvazione dei post) i messaggi di persone che cercavano informazioni su quello che era accaduto alla Lanterna Azzurra. In un primo momento poteva sembrare un allarme come tanti ma nel corso delle ore la portata del dramma era nota a tutti.
Mentre i miei occhi erano due fessure ancora cispose mi disse che in quella discoteca di Madonna del Piano erano morte sei persone. «Ma che cazzo dici?» fu la mia risposta. Devo dire con molta cura mi raccontò quello che era riuscito a evincere dal gruppo finché proprio in quel momento, attraverso una chat di suoi amici, erano arrivati i nomi delle vittime. In questo stordimento generale, sento il nome della «fiola de Bano» e di colpo la mente torna alla seconda metà degli anni 90, ai tempi in cui lavavo i bicchieri in quel ristorantino sul mare da 1200 coperti. Chi mi conosce lo sa quanto io sia affezionata alle mie stagioni da Bano, quattro estati in cui penso di avere appreso lì tutto quello che so del lavoro. Tanta fatica, il mare visto in cartolina da adolescente ma anche tante risate. E tra questi ricordi non può che trovare spazio anche l’Eleonora, lei e il suo maglione della Stone Island, un’aria un po’ scazzata ma simpatica e gran lavoratrice. L’avevo persa di vista negli anni ma ero felice di saperla sposata e con una bella e numerosa famiglia. Di quello che è accaduto a lei e ad altri cinque ragazzi sono piene le cronache.
La strage della Lanterna Azzurra ha rappresentato per me un vero shock. Qualche motivo l’ho rintracciato, il resto è materia per un buon terapista quando finalmente mi deciderò a incontrarlo. Finché c’è stato mio padre, la domenica venivo deportata a Corinaldo da mia nonna e talvolta anche a Madonna del Piano da certi miei parenti contadini che ammazzavano il maiale e si erano ritrovati con un allevamento di cani cubani a loro insaputa. Io ero una bambina snobbissima e andare là, in mezzo alla terra, mi procurava un disagio che oggi mi fa una gran tenerezza.
Figuriamoci cosa posso aver provato quella sera di Carnevale quando andammo in massa alla Lanterna Azzurra, un posto che io consideravo oltre la periferia dell’impero, mentre a Senigallia la gente andava alla Rotonda. Di quella sera ho un ricordo insolitamente dolce: la Lambada era appena approdata in Italia e io guardavo con imbarazzo maldestri ancheggiamenti su quella pista. Prima dell’8 dicembre del 2018, il nome della Lanterna Azzurra mi riportava a un periodo in cui anch’io ho avuto due genitori.
Nonostante tutto questo, ciò che mi turba di più è il pensiero di come quelle ragazze si fossero preparate per la serata. Io a 14 anni per andare alla Rotonda mi truccavo di nascosto dietro le cabine e mi ci struccavo pure prima di essere recuperata dai miei. Adesso invece le quattordicenni possono farsi belle davanti allo specchio, con buona pace dei genitori.
Da ragazzina avrei dato un braccio per andare in discoteca la sera ma mia madre, vedova e senza patente, non poteva accompagnarmi e altri genitori che si prestassero non ce n’erano. Mio padre, che pure è stato di una severità ai limiti del militare, lo sforzo di accompagnare me e le mie amiche so che l’avrebbe fatto. Sarà per questo che sono molto empatica nei confronti di questa tragedia che riguarda una festa di studenti. Ti vesti carina perché ne hai voglia e speri che quello che ti piace posi lo sguardo su di te almeno un attimo in modo tale che poi hai materia di conversazione sicuro almeno fino a Natale.
Quando a settembre ho letto alcuni passi del libro I ricordi non salvano le lacrime firmato da Emma Fabini, una delle sei vittime, e dal padre Fazio ho capito quanto fossi ancora un’adolescente di oltre 40 anni perché in quelle parole di mi ritrovavo più che in certi scritti di coetanei. Leggendo quei passaggi ho avuto la conferma che in meno di due anni la strage della Lanterna Azzurra è già qualcosa di dimenticato. Il padre di Emma nel libro racconta questo che copio di seguito dopo averlo tratto dall’articolo di Repubblica che vi esorto a leggere solo se siete disposti a piangere.
«All’età di quattordici anni il tuo cantante preferito era Ultimo, di pochi anni più grande di te, un bel ragazzo che scrive e canta canzoni semplici e romantiche. Durante le indagini condotte dai Carabinieri di Ancona il maresciallo Saracino venne informato che tu e Benedetta, una delle altre vittime della Lanterna Azzurra, avevate comprato un biglietto per il concerto di Ultimo che si sarebbe tenuto al Palasport di Ancona. Come sempre, io e Angela ci eravamo chiesti se fosse giusto. Ma eri così lodevole che meritavi di essere premiata, e poi saresti andata con delle amiche e con delle mamme disposte ad accompagnarvi. Saracino contattò noi e le famiglie delle altre vittime della discoteca di Corinaldo per chiederci se avessimo avuto piacere di assistere a questo concerto. Inizialmente rifiutammo, poi, parlando con le altre famiglie, ci ripensammo: ci fu detto che il cantante avrebbe dedicato la serata alle sfortunate vittime della Lanterna Azzurra, perciò poteva essere un bel modo per ricordavi. Così decidemmo di andare al concerto. Venne anche la piccola Gemma, figlia dodicenne di Eleonora, un’altra delle vittime di questa tragedia. Era il suo compleanno e aveva portato con sé il cd di Ultimo per farselo autografare. Stessa cosa aveva fatto Angela che s’era portata il tuo biglietto che avrebbe poi lasciato, autografato, nel luogo dove adesso giace il tuo corpo. Lì, dov’è la tua tomba, Angela ha appeso una piccola busta dove chiunque voglia può lasciare un messaggio o un ricordo. Non so perché ma mi ero fatto l’idea che non avremmo assistito al concerto in mezzo al pubblico e che invece avrebbero ricavato per noi un posto a lato del palco, oppure nel backstage. Ci ritrovammo in tribuna dove il maresciallo dei Carabinieri era riuscito a reperire dei posti liberi. Gran parte del tempo l’ho passata ad asciugarmi le lacrime che mi scendevano sul viso. Saresti dovuta essere lì, con le tue amiche, a saltare e a cantare a squarciagola. In ognuna delle ragazzine che vedevo ballare davanti a me, immaginavo te. Prima e durante il concerto Saracino ha fatto più volte la spola fra noi, seduti in tribuna, e lo staff di Ultimo, per chiedere la disponibilità a riceverci, almeno per alcuni minuti. È stato tutto inutile: prima il cantante era nervoso per il concerto, dopo era stanco per lo stesso motivo. A metà dello spettacolo Ultimo ha dedicato due parole in ricordo di quello che, a suo dire, era stato un incidente. Non ha fatto neanche la fatica di ricordare i nomi delle vittime. La delusione per tutti noi è stata grande. Soprattutto per Gemma. Grazie poi alla sua caparbietà, Saracino è riuscito, lasciando i biglietti allo staff del cantante, a farli autografare dall’artista in un secondo momento. Abbiamo fatto questo pensando a te e al piacere che avresti provato nel ricevere un omaggio da un artista che amavi e per il quale, per vederne il concerto, avevi acquistato il biglietto con largo anticipo attingendo ai tuoi risparmi, perché così avevi voluto. Mi sento di consigliare ad Ultimo una maggiore sensibilità e disponibilità nei confronti dei propri fans. Nei confronti di tutti ma, in particolare, nei tuoi confronti e nei confronti delle altre vittime, che oramai esistete solo nei ricordi…».
Sarò prevenuta ma penso che se la stessa tragedia fosse accaduta in un luogo più illuminato dai riflettori, Ultimo non si sarebbe permesso di comportarsi così. Cerco di spiegarmi meglio. Le Marche certe volte esistono meno del Molise, basta pensare alla confusione che è stata fatta nell’attribuzione dei luoghi. Su tutti i giornali, la strage è accaduta in Ancona per almeno tre giorni. Mia nonna che era di Corinaldo in Ancona non c’era mai stata, per dire quanto le città fossero anche culturalmente distanti e anche io negli ultimi vent’anni nel capoluogo della mia regione di nascita che dista 24 km ci sarò stata meno di cinque volte. Ovvio che è stupido fare campanilismo ma solo capire il contesto servirebbe a rendere tutto più chiaro.
Quella della Lanterna Azzurra è soprattutto una tragedia senigalliese. Non c’è in città nessuno che non conosca qualcuno coinvolto in quell’evento drammatico. Si fa presto con 197 feriti, oltre ai sei morti anche se non tutti di Senigallia. Un mio vecchio amico incontrato per caso dopo qualche settimana mi raccontò che al Classico era pieno di studenti ingessati o incerottati. Lui, professore di matematica del mio ex liceo, mi raccontò quanto fu difficile interagire con i ragazzi. Il fatto che anche lui non ci sia più, aggiunge solo un pizzico di dolore in più, e dico che i suoi studenti sono stati molto fortunati ad averlo, specialmente nella gestione del trauma. A tenere desta l’attenzione in questi due anni, spesso è intervenuta con competenza Emanuela Audisio su Repubblica, essendo anche lei di qua, comprendendo quindi meglio di altri la ferita che quaggiù fa fatica a rimarginarsi.
Penso francamente che questa vicenda andasse maneggiata diversamente. Non tanto perché sarebbe stato utile un pianto a reti unificate, quanto per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del divertimento in sicurezza. Su questo si sta impegnando con grande energia il CO.GE.U., il Comitato Genitori Unitario nato un mese dopo la tragedia. Il loro slogan è: «Da un concerto si esce senza voce non senza vita». E anche sul tema concerto andrebbe aperta una parentesi.
È vero, quella sera è accaduto qualcosa a cui noi tutti siamo stati abituati nel tempo cioè partecipare a serate in cui il protagonista si presenta a una certa ora tarda perché ingaggiato in posti diversi oppure non si presenta per nulla. Un escamotage o una giustificazione si sono sempre trovati. Razionalmente quindi lo so che Sfera Ebbasta non c’entra nulla ma la mia componente emotiva per tutto quello che ho scritto sopra fa fatica a trovare pace.
È vero, si è trattata di una tempesta perfetta in cui i fattori erano malauguratamente allineati per detonare insieme in maniera difficilmente prevedibile ma non impossibile. La banda dello spray, la rampa arrugginita e insicura di un vecchio magazzino agricolo, le catene alle uscite di sicurezza, la folla, tutto vero. Fatto sta che l’artista proprio perché di pochi anni più vecchio dei ragazzi coinvolti avrebbe potuto gestire meglio la situazione. Mi azzardo a dire anche a suo vantaggio.
È vero, la tragedia della Lanterna Azzurra non ha scalfito la sua carriera e, quando parlo con diversi amici e colleghi, non fanno altro che dirmi: «E lui, scusa, cosa doveva fare?». Io non dico che dovesse prendersi la colpa, ci mancherebbe, ma gestire meglio la comunicazione attorno alla tragedia forse sì. Poteva cavalcarla la battaglia del CO.GE.U., magari urlando che anche lui è una vittima del sistema. Sarebbe stato un gran paraculo ma avrebbe fatto la differenza su tante questioni che non vanno perché di Lanterne Azzurre ovvero di locali stipati e insicuri è pieno il mondo.
Vasco Rossi, per esempio, prese una posizione sul bagarinaggio e un po’ di terremoto in un certo malcostume lo generò. Per quanto riguarda Sfera Ebbasta, non entro nel merito della sua musica. Non credo manco che certi contenuti inducano i giovani a drogarsi o a compiere chissà quale malefatte. Spesso sono parole orecchiabili e ritmi scanditi bene a penetrare nel cervello. A 15 anni cantavo Tocca qui degli Articolo 31 ma ero una fanciullina pudica nonostante quell’ascolto. Tuttavia, nel 2020 penso che un modo per essere maledetti (almeno a parole) e al contempo un esempio per i giovani si possa trovare.
Deve essere stato dello stesso avviso il sindaco di Cinisello Balsamo che ha pensato di dedicare una piazza al suo concittadino più illustre.
«Gionata Boschetti, in arte Sfera Ebbasta, nonostante la sua giovane età, ha raggiunto una serie di traguardi estremamente importanti nel corso della sua carriera e ottenuto milioni di ascolti sulla piattaforma di streaming musicale Spotify. Traguardi importanti che, uniti ad un impegno civico e sociale verso i giovani e la nostra città, non potevamo non riconoscere e premiare, proprio noi di Cinisello Balsamo. Ciny, così da lui chiamata, oggi vuole conferire un simbolo di riconoscimento a questo artista. Pertanto sono fiero di dedicare l’intitolazione di questa piazza a suo nome. Con l’augurio che rappresenti soltanto una delle altre numerose pietre miliari che conterà nel corso della sua carriera! E che sia da esempio per le nuove generazioni, perché i sogni di ciascuno possano realizzarsi con l’impegno, la costanza, la passione, il rispetto per le persone e per il bene comune».
Buon per lui, per carità, e buon per gli abitanti di Ciny ma penso che a volte chi ha un palcoscenico lo possa usare anche per scopi più nobili. Come stanno facendo per esempio Chiara Ferragni e Fedez, insigniti proprio ieri dell’Ambrogino d’Oro, il riconoscimento più importante secondo i milanesi. O sennò si fa miglior figura a fare come David Bowie che nel 2003 rifiutò il titolo di baronetto che la regina Elisabetta voleva offrirgli. «Non potrei mai e poi mai accettare qualcosa come questo. Veramente non capisco a cosa serva. Non è quello a cui ho dedicato l’intera mia vita» disse dimostrando grande libertà e indipendenza.
Per essere Bowie non doveva chiedere il permesso alla regina, Sfera invece ha gradito la targa in piazza (sì, lo so, è temporanea etcetc). Rimango altresì convinta che al giorno d’oggi tra il cospargersi il capo di cenere per colpe non sue ed essere degno di quella intitolazione oltre i confini lombardi, tipo anche qui in questa terra dimenticata da Gionata e dagli uomini, ci possano essere ottime mediazioni. Magari la maturità gli porterà consiglio, se non a lui al suo entourage quando un giorno magari avrà bisogno di ricordare anche lui questa tragedia legata al suo nome. La sua però non è stata solo sfortuna ma anche, non so se si può chiamare così, connivenza a un sistema che lo voleva sul biglietto a Corinaldo alle 22.45 mentre a mezzanotte era atteso anche a Rimini.
Quella povera gente che ha perso tanto, se non tutto, forse avrebbe apprezzato qualcosa di più efficace di sei stelline tatuate a caldo sulla fronte. Dimostrare una maggiore sensibilità, forse, sarebbe stato un gesto gradito. Fosse anche solo per questioni di marketing.