Lo strano, l’assurdo: l’incoronazione di re Carlo III

Giorgia Olivieri
6 min readJun 10, 2023
Una libreria a Londra nei giorni dell’incornazione di Carlo III

In The Windsors, la spassosa sit-com che prende in giro la famiglia reale, viene dipinto un futuro senza monarchia. C’è una scena in cui un turista con la macchina fotografica incontra il principe William per le scale di un palazzo fatiscente e se ne lamenta. «Quando tornerò a casa, lascerò una cattiva recensione su Tripadvisor» minaccia dicendo che andrà in Danimarca.
«Lì c’è ancora un re», è una regina in realtà ma il senso si capisce.

Un manifestante anti-monarchico del gruppo Republic

La monarchia britannica è tante cose ma è anche, soprattutto, un’industria che vende, vende tantissimo. «Avete pensato alle persone che collezionano i piatti con le nostre facce sopra?» si dice a un certo punto sempre in The Windors. Non si tratta però solo di souvenir con una brutta foto stampata sopra. La monarchia britannica vende la sua storia e, volente o nolente, l’intreccio di storie che da essa si dipana. Tuttavia, non si può ridurre tutto a un’economia che gira vorticosamente. Si tratta piuttosto di un irresistibile miscuglio di fattori che strega chi ne subisce il fascino, che logora chi dice di esserne immune.

Qualche settimana fa un uomo è stato incoronato con una cerimonia, diciamolo pure, anacronistica. Dai secoli passati sono rispuntati fuori scettri, corone, carrozze e cimeli per osservare i quali occorreva una buona dose di sospensione del giudizio. Del resto, se vai lì a beccarti cinque o sei ore di pioggia battente e non sei manco inglese di nascita, il senno l’hai perso da quel dì.

Una libreria allestita per l’incoronazione.

L’incoronazione l’ho vista da sola in mezzo a un parco godendo di una prospettiva unica, quella di un rito collettivo, metà messa metà favola. Isolata senza neanche una tacca di rete, ho riflettuto a quanto fosse incredibile non solo lo «spettacolo» ma la storia personale di Carlo. Entrambi, in misura ovviamente diversa, aspettiamo quel momento da quando siamo nati ed entrambi ad un certo punto abbiamo pensato che quel traguardo non sarebbe arrivato. Soprattutto avendo Camilla accanto.

La faccia di Carlo nei giorni dell’incoronazione era dappertutto, e ci sta. Mi hanno però colpito le librerie. Enormi tavoloni all’ingresso erano stracolmi di biografie di ogni tipo, su chiunque, rivolte a un pubblico di ogni età. Carlo, Camilla, Elisabetta, Filippo, la regina madre financo Giorgio VI ma un’assenza ai miei occhi era fin troppo tangibile. Per trovare un libro che parlasse di Diana mi sono avventurata fino a un terzo piano di non so quale libreria, guardando negli scaffali in basso.

Diana in uno scaffale in basso in libreria: un capitolo della monarchia britannica ormai archiviato.

Sotto la pioggia guardavo quei due vecchietti con i mantelli e le corone e pensavo alla foto di loro di fonte all’albero con le loro iniziali intagliate. Confesso che l’idea del complotto per far fuori Diana è balenata nel mio cervello a tratti annoiato (e di sicuro molto bagnato). Quell’uomo ha desiderato con tutto sé stesso una cosa e ci ha messo cinquant’anni per realizzarla.
Tenacia?
Fortuna?
Di che parliamo quando parliamo di Carlo?

Cresciuta leggendo i rotocalchi che narravano le gesta di Diana, ho impiegato del tempo per accettare Camilla ma poi mi sono rassegnata a quel destino a lungo cercato. (Come dico sempre Si nasce Diane, si muore Camille©).
La loro è la più grande storia d’amore (qualunque cosa la parola amore significhi, cit.) a cavallo di due secoli, piena forse più di ostacoli che di romanticismo. Eppure quel percorso sghembo è diventato tondo, perfetto come Carlo l’ha sempre sognato.

Mentre pensavo a tutto questo, il re veniva unto, investito, incoronato. Non so fino a che punto fossi preda della sindrome di Stoccolma ma la magia di quel momento ha avvolto il parco scendendo su di noi come gocce di pioggia. C’è stato un momento esatto in cui ho sentito il vento cambiare: si chiudeva l’era di Elisabetta II e iniziava definitivamente quella di Carlo III. Ho percepito una sensazione di questo tipo poche altre volte.

Nel 2014 sono andata al concerto dei Rolling Stones al Circo Massimo. Anche lì, in piedi da ore per assistere a un rito collettivo (doveva essere l’ultimo ma poi no). A un certo punto è salito Mick Jagger sul palco a 70 e passa anni, si è sbottonato la camicia e ha sparso Sesso (con la S maiuscola) su 70mila persone davanti a lui. Gli è bastato sventolare uno striminzito pezzo di tessuto. Fino a quel momento il sex appeal di Mick Jagger non lo avevo mai capito.

Certo, Carlo è tutto tranne che una rock star ma è indubbio che ci siano persone e situazioni che hanno un che di soprannaturale, un’energia che fai fatica a spiegare. Su questo però ha trovato le parole giuste Nick Cave. Criticato dai fan per avere accettato l’invito all’incoronazione, ha risposto più o meno così. «Non sono un monarchico ma non sono neanche così burbero da rifiutare un invito a quello che probabilmente sarà l’evento storico più importante nel Regno Unito della nostra epoca. Non solo il più importante, ma il più strano, il più assurdo». «The strangest, the weirdest» scrive lui nel suo spazio virtuale The Red Hand Files.

La foto dei due vecchietti incoronati sarà spiattellata su una tazza che diventerà il souvenir più desiderato (bagaglio permettendo). Quando Diana cominciò a intuire che forse non avrebbe mai avuto per sé il cuore del suo futuro marito, proprio quel mercato di stoviglie a buon mercato fu usato dalle sorelle come scusa per non annullare il matrimonio.
«La tua faccia è sugli strofinacci, è troppo tardi per fuggire» le dissero, non potendo prevedere nulla di quello che il destino aveva in serbo per la principessa. La monarchia trova il suo senso anche in quel merchandising dozzinale. Nessuno è immune al fascino di una tazza con un reale stampato sopra.

In metropolitana si leggevano avidamente cronache reali per poi abbandonarle lì appena raggiunta la fermata

E anche se non lo ammettono, tutti vogliono sficcanasare in casa Windsor, bevendosi qualsiasi storia come un tè servito in una tazza-souvenir, accontentandosi di tifare per chi gli suscita più simpatia. Parliamo di un’istituzione che esercita il suo potere con una propaganda capillare, solo all’apparenza innocua, che fa leva su quanto di più pop ci possa essere. Un soft power piuttosto hard che ti si infila in credenza tra i ricordini, che viaggia in classe economica su Ryan Air e che trasforma euro in sterline per la gioia di chi se n’è voluto andare dall’Europa.

Il test pubblicato su un giornale

«Quello che sto cercando di dire è che, al di là degli interminabili ma necessari dibattiti sull’abolizione della monarchia, ho un inspiegabile attaccamento emotivo ai reali — la loro stranezza, la natura profondamente eccentrica dell’intera faccenda che riflette così perfettamente l’assurdità unica della stessa Gran Bretagna» scrive lo stesso Nick Cave mentre si prende l’inutile briga di giustificarsi (nota a margine: la moglie di Cave, Susie, ha fondato un brand, The Vampire’s Wife amatissimo dalla royals, it’s a family matter, in un certo senso).

«Sono solo attratto da quel tipo di cose, il bizzarro, l’inspiegabile, lo spettacolare stupefacente, il timore reverenziale». Diabolico, aggiungerei io caro Nick. Altro che semplicemente bizzarro.

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Giorgia Olivieri

Giornalista, scrive quello che vede come se fosse al bancone del bar. Marchigiana, vive a Bologna da troppo tempo.