Pancreas

Giorgia Olivieri
6 min readNov 13, 2017

Il tumore al pancreas è considerata ancora una malattia rara ma ogni anno miete sempre più vittime. Vogliamo fare qualcosa per cambiare il corso degli eventi?

Pancreas e milza. Biography of cancer, Jason Sangik Noh. Foto scattata a #fotoindustria2015

Per quasi quarant’anni la parola pancreas a casa mia è stata un tabù. Mia madre aveva bandito quell’organo da ogni conversazione e a me la parola pancreas suona ancora inopportuna come se fosse una bestemmia. Non conoscevo i motivi di quel veto poi, crescendo, ho saputo che la madre di mia madre era morta di un cancro proprio lì e così il pancreas non ha mai smesso di essere innominabile per lei e per noi, nonostante questa donna fosse morta molti anni prima della nascita mia e di mia sorella.
Solo quando dalla televisione o dal giornale veniva fuori che qualcuno era stato colpito dalla stessa malattia allora lei scuoteva la testa e diceva in senigalliese tant non c’è nient da fa’.
Patrick Swayze è stato colpito da tumore al pancreas.
Tant non c’è nient da fa’.
Luciano Pavarotti è stato colpito da tumore al pancreas.
Tant non c’è nient da fa’.
Steve Jobs è stato colpito da tumore al pancreas.
Tant non c’è nient da fa’.
Tant non c’è nient da fa’
era questo ritornello che suonava abbinato alla parola pancreas anche se non faceva rima. Nella testa di mia madre nulla era più democratico del tumore al pancreas: diceva sempre che anche se c’avevi i soldi e ti ammalavi di tumore al pancreas tant non c’era nient da fa’.

Mamma, Paolo si è ammalato. Sono molto preoccupata.
E co’ c’ha?
Un tumore. Al pancreas.
Ah, tant non c’è nient da fa’.
Paolo era un mio collega, una persona che consideravo di famiglia. Chiamò un giorno per dirci che si sarebbe operato e io, come si fa di solito, gli dissi non esitare a chiedermi qualsiasi cosa. “Preghiere” lui mi rispose. Io, che in chiesa non ci vado e non prego, affidai a mia madre il compito, dal momento che tutti gli anni andava in chiesa per Santa Lucia. “Mamma, ok che non c’è nient da fa’, ma te dimmi una preghiera anche per Paolo”.
Dopo qualche mese dall’operazione, Paolo tornò in ufficio. Era splendido. Pieno di vita, entusiasmo, iniziative. Io lo guardavo con gli occhi sgranati e mentalmente facevo il dito medio a mia madre, quella menagramo.
Oh ma’. Te n’ poj capi’ Paolo come si è ripreso. È una gioia guardarlo.
Oh, mej per lu’. So’ contenta” rispose lei con un pizzico di scetticismo.

Paolo a giugno del 2015 se n’è andato. A mamma non l’ho potuto dire perché lei invece ci ha lasciati il 30 dicembre del 2014. C’ha messo 25 giorni a morire. Tra il primo ricovero e l’ultimo respiro ci sono stati tre consulti con professori più o meno preparati, due ospedali, una visita prenotata da un oncologo di fama e tante bugie. A mia madre quello che c’aveva non gliel’ho detto, anche se, visto che non era scema sono quasi certa lo sapesse. L’ho protetta in ogni modo in quei venticinque giorni in un ribaltamento di ruoli che mi ha tolto ogni forza. Nel mese di dicembre mi sono ritrovata a fare la madre a mia madre, la zia a mia nipote appena nata, il capo di una famiglia composta di tre persone, io che non potevo crollare e mia sorella che aveva appena partorito.

Quando ho saputo che anche mamma era malata di tumore al pancreas mi è caduto il mondo addosso non tanto perché tant non c’era nient da fa’ quanto perché mi ha sconvolto sapere che mia madre stava morendo della sua paura più grande. Lei la morte della madre non l’ha mai superata ma non ce ne ha neanche mai parlato, tanto che io non la chiamo nonna ma la madre di mia madre.

“Ho paura” ci disse qualche giorno prima di essere ricoverata mentre io, per tanto era magra stentavo a riconoscerla. In quei famosi 25 giorni non ha parlato tanto. Si guardava e si trovava brutta, non si rendeva conto di quanto fosse bella anche se quella malattia la stava divorando. Nonostante le poche forze e il dolore, questo non le impediva di rispondermi male. Sarà stata la ribellione di quella che era diventata una ragazzina. A un certo punto le dissi “Oh ma’, hai rotto i cojoni a trattàmme male! Pare che ce l’hai con me!”. “Ma te pare che ce l’ho con te? Ce la posso ave’ con te? Te sposti pure le montagne!”.

Ecco, io la sua di montagna non sono riuscita a spostarla ma mi posso impegnare affinché non si dica più tant non c’è nient da fa’. Ed è per questo che io la parola pancreas la pronuncio pure troppo come i bambini che non possono dire le parolacce e provano gusto a ripetere perversamente ciò che a loro è proibito. Pronuncio la parola pancreas perché io la fine di mia madre non la voglio fare, non voglio morire di una paura più grande di me. Mamma non sarebbe tanto contenta di tutto il casino che sto facendo. Lei non amerebbe la visibilità ma io voglio lottare per cambiare il corso degli eventi perché non mi do pace che nel 2017 la situazione non sia tanto diversa da quando è morta la madre di mia madre (sì ok, mia nonna) cinquant’anni fa. E se poi dovesse capitare a me non mi voglio rassegnare a un futuro già scritto. Sapete perché? Perché ogni giorno, oltre 1000 persone nel mondo si ammalano di tumore al pancreas e si stima che 985 di loro moriranno per questa patologia. Recenti studi hanno evidenziato che il cancro al pancreas, che ogni anno in Italia colpisce oltre 13.000 persone, potrebbe diventare entro il 2020 la seconda causa di morte per tumore. Purtroppo il tumore del pancreas in fase precoce non dà segni particolari e anche quando sono presenti sintomi, si tratta di disturbi piuttosto vaghi, frequentemente interpretati in modo errato sia dai pazienti sia dai medici. La mortalità per questo tipo di patologia a 5 anni dalla diagnosi è ben oltre il 90%, facendo sì che il cancro al pancreas goda del triste primato di tasso di mortalità più elevato tra tutti i tumori.

Il 16 novembre si celebra la giornata mondiale della lotta contro il tumore al pancreas. Sono varie le iniziative organizzate per accendere i riflettori su questo “killer silenzioso”. Una di queste è la campagna “Facciamo luce sul tumore al pancreas”: in tutto il mondo monumenti, edifici e luoghi significativi saranno illuminati di viola. Se nel mondo si potranno vedere con questa luce insolita le Cascate del Niagara o l’Opera House di Sidney sono 80 le città italiane che hanno accolto l’invito delle associazioni in prima linea in questa battaglia (Nastro Viola, Oltre la Ricerca, My Everest e Fondazione Nadia Valsecchi) a mettere a disposizione una pezzo del ricco loro patrimonio artistico e architettonico. Si passa dalla Spire Unicredit Tower di Milano al Maschio Angioino di Napoli passando per la Reggia di Caserta, la Casa di Gioacchino Rossini a Pesaro, la Cattedrale di Trento e il Palazzo della Loggia di Brescia (qui l’aggiornamento in tempo reale https://www.facebook.com/events/120079968636278/?active_tab=discussion). Inoltre, giovedì 16 novembre alle 15 all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna (Padiglione 5 Ala H — 2° piano) si terrà la tavola rotonda organizzata da “tumorepancreas.com” con la collaborazione delle Associazioni Nastro Viola, Oltre la Ricerca, My Everest e Fondazione Nadia Valsecchi: si tratta di un’occasione di incontro senza barriere formali tra pazienti, familiari, associazioni e medici per discutere di cure e di stato dell’arte della ricerca. Pensando a chi non può raggiungere Bologna viene data l’opportunità a tutti di partecipare via streaming all’indirizzo: www.giornatamondialetumorepancreas.org.

Il motto della giornata mondiale contro il tumore al pancreas è Demand Better — Chiedi di Meglio. Proprio perché i numeri sono così sconvolgenti che con la Giornata Mondiale per la lotta al Tumore al pancreas le associazioni che danno voce a pazienti e loro familiari chiedono maggiore attenzione su quello che viene spesso definito “killer silenzioso” e che, a ben vedere, tanto silenzio non è.
Si chiede di meglio per:
- avere un trattamento migliore del tumore al pancreas che garantisca la sopravvivenza
- ottenere attenzione verso un tumore considerato erroneamente raro e che è previsto un aumento nei prossimi anni
- attrarre investimenti da concentrare nella ricerca (al momento si stima che solo il 2% dei finanziamenti per la ricerca a livello europeo sono destinati allo studio di questo tumore)
- diffondere informazioni corrette riguardanti sintomi e trattamenti.

Insomma, la situazione è questa e mi sembra tutt’altro che rosea. Mamma perdonami se t’ho messo in mezzo ma noi non abbiamo più tempo per la riservatezza.
Oh, poi ma’ l’hai detto te.
Io le montagne le sposto, non mi faccio mica schiacciare.

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Giorgia Olivieri

Giornalista, scrive quello che vede come se fosse al bancone del bar. Marchigiana, vive a Bologna da troppo tempo.