Quella volta a Kiev

Giorgia Olivieri
4 min readMar 5, 2022
Kiev Carousel — Foto di @ Guido Calamosca

Qualche domenica fa guardavamo In Onda all’ora di cena. Umberto Galimberti dice una cosa, se vogliamo, anche piuttosto banale cioè che le guerre ci colpiscono solo se attaccano qualcosa che conosciamo. Guido alza la testa dal piatto e dice «è vero», io mi soffermo il giusto su questa considerazione e continuo a mangiare.
Ora che la guerra è arrivata in un posto che ho visto mi viene in mente quella riflessione semplice e non posso che confermare quelle parole. A Kiev nel 2017 siamo stati talmente tanto che la gente ci salutava per strada. In realtà si è trattato di una sola settimana ma ci siamo indubbiamente sentiti a casa. Tra tutti i viaggi che ho fatto con la mia compagnia di giro eurovisiva (nel 2017 Kiev ha ospitato l’Eurovision), questo è quello che ricordo con più affetto, forse anche perché è stato il più completo.

Il bambino e il suo monopattino — Foto di @ Guido Calamosca

Ci siamo dedicati allo spettacolo ma abbiamo girato anche molto la città costruendo le nostre piccole abitudini. La visita a Chernobyl poi, il vero motivo per cui ho deciso di andare all’Eurovision in Ucraina, è stata un’occasione di grande conoscenza, sia nella sua fase preparatoria (libri, film, documentari e programmi, la serie sarebbe uscita qualche mese dopo) sia quando siamo andati proprio lì a ridosso della centrale e a Pripyat. Da quell’esperienza è successivamente nato un progetto con un mio racconto e le immagini scattate da Guido che ha fatto il suo piccolo giro.

La zona dell’Arena che ospitava l’Eurovision — Foto di @ Guido Calamosca

Ci penso spesso in questi giorni al viaggio in pullman fino alla zona di esclusione perché mi restituisce in parte, credo, l’atmosfera che c’è in Ucraina. Le strade vuote, i check-point, la distruzione. La guida ci raccontava, mostrandoci il fiume Pripyat — nome che si sente spesso in questi giorni — che lì un tempo le famiglie andavano per il picnic della domenica. In quell’area ci sono le case distrutte come quelle che vediamo adesso nei servizi di Francesca Mannocchi. Lì sembravano un po’ un presepio ma ora quella storia, passando per altre strade, si ripete. Anche nel 1986 la gente ha dovuto lasciare la casa in un’ora, mettendo in una borsa una vita scegliendo in fretta cosa portare via.

I ragazzi che si amano sotto la finestra di casa — Foto di @ Guido Calamosca

Ho pensato spesso alle nostre guide, mi chiedo se siano ancora al mondo. Erano due, uno che gestiva il gruppo, l’altro non si sa bene cosa facesse ma era simpatico e ci portava a scoprire certi angoli di Chernobyl non previsti nella visita ordinaria. È lui che ci ha salutato per strada mentre andavamo all’arena per l’Eurovision e quel «ciao» a Kiev ci ha fatto molto ridere perché non sapevamo ancora di avere dei conoscenti in giro per la città.

Il servizio d’ordine dell’Eurovision. Ora? — Foto di @ Guido Calamosca

La casa che ci ospitava era centrale ma piuttosto lontana da piazza Maidan, il luogo di ritrovo per tutto. Potevamo scegliere: o farcela in superficie tra gli eleganti palazzi di quei boulevard attraversando strade e aspettando ai semafori oppure passare sotto terra mettendoci molto meno perché il percorso era senza interruzioni. Per tutta la distanza che ci separava c’era una città sotterranea con negozietti, bancarelle di alimentari e caramelle, alcuni servizi. Mi dicevano che è comune nelle città fredde ma forse, vedendo quello che accade ora, la città sotterranea ha ancora più senso. È lì che immagino stipate le persone ora oltre che nella metropolitana. La metropolitana era bellissima, ho scoperto in questi giorni che è una delle più profonde del mondo.

La metropolitana di Kiev — Foto di @ Guido Calamosca

Non ho molti ricordi perché l’abbiamo presa pochissimo: per l’equivalente di pochissimi euro potevamo sfrecciare con degli Uber che andavano davvero alla velocità di un missile lanciato su uno di quei ponti che ora non c’è più. A me è piaciuta anche la cucina anche se quella ucraina non è ricchissima, i piatti sono una manciata.

La metropolitana di Kiev — Foto di @ Guido Calamosca

Ho affondato quasi tutta la settimana il cucchiaio nel borsch caldo accompagnato dalla panna acida, c’erano poi i ravioli, quelli sono buoni dappertutto. Soprattutto lì ho scoperto la cucina georgiana e non capisco perché di ristoranti georgiani non ce ne siano tanti quanto quelli cinesi o giapponesi.

Una ragazza che sorride — Foto di @ Guido Calamosca

Domenica scorsa volevo rivedere le foto della «nostra» Kiev. Io ho scoperto di averne pochissime, quindi sono riuscita ad aprire l’hard disk di Guido con il piede di porco. Ho rivisto una città vibrante, molto diversa dall’idea che avevo prima di partire. Ovvio, la vita della capitale è ben diversa da quella delle altre città ma, le immagini hanno confermato il mio ricordo, c’era un sacco di vita lì. E probabilmente c’è ancora. Solo che se le vede malissimo in mezzo a questo conflitto.

--

--

Giorgia Olivieri

Giornalista, scrive quello che vede come se fosse al bancone del bar. Marchigiana, vive a Bologna da troppo tempo.